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fotografie

Manifesto

La premessa è scontata quanto essenziale: la fotografia non è una riproduzione della realtà ma dello sguardo che la osserva.
Ne discende che la fotografia riuscita è quella che è in grado di trasmettere uno sguardo.
La domanda quindi si trasforma: posto che io sia in grado di realizzare una fotografia che trasmetta fedelmente il mio sguardo, in cosa consiste ciò che sto trasmettendo? Che cosa è il mio sguardo e cosa cerca nella realtà che lo circonda?

Questo alla fine credo sia il quesito centrale. La risposta è che cerco la pulsazione delle cose, nello specifico il respiro dell'ambiente antropico, quello che reca tracce recenti o remote dell'attività umana. Un respiro che è fatto di spazi, luci, colori, ritmi; di tutto ciò che porta il contesto in cui mi muovo ad interagire con la mia sfera sensoriale. È questa interazione, che sta nelle cose ma che si proietta verso di me muovendosi in equilibrio tra oggettività e soggettività, che mi piacerebbe catturare nelle mie immagini, lasciando che gli spazi e gli oggetti che li creano ne divengano i protagonisti.

Tecnicamente tutto ciò si traduce nella ricerca di uno stile trasparente, che credo avvicini le mie inquadrature alla poetica della natura morta, ritrovandosi come quel genere a fare i conti con l'insopprimibile domanda circa il comportamento del mondo quando nessuno lo osserva. Domanda che poi è la traduzione plastica della nostra ancestrale paura di essere travolti dalla complessità del mondo.

Ovviamente la catena di interrogativi non si ferma qui. Le ragioni per cui il mio sguardo è alla ricerca di queste voci ambientali, risiedono probabilmente nelle pieghe della mia psicologia personale. Raccontano a me stesso della mia natura e della mia storia; di tutto ciò che mi ha portato ad osservare il mondo degli uomini con gli occhi di un viandante che intravede una scena domestica attraverso i vetri appannati della finestra davanti alla quale sta passando.

Ma tutto questo è già troppo lontano dall'essenziale; ciò che conta sta nelle fotografie e nelle domande che riescono a porre a chi le osserva.

In poche parole

Giovanni Cappiello è un fotografo d'arte con base a Roma, Italia. Diplomato in fotografia allo IED di Roma, la sua ricerca è rivolta soprattutto alla fotografia di paesaggio urbano, notturna e diurna, e allo still life non commerciale.


La versione lunga

Prima gli studi di ingegneria, quando per parlare con un calcolatore era necessario perforare schede; negli stessi anni la musica, trovata nelle corde di una chitarra e conosciuta sul serio attraverso quelle ben più numerose di un liuto barocco. Quindi la critica musicale e la musicologia come lente per osservare la cultura rinascimentale e barocca. Quella per la fotografia è una passione tardiva, che ha chiamato a sé gli entusiasmi insospettabili della maturità .

C'è da chiedersi se non sia stata una scoperta arrivata a giochi già fatti, quando la fotografia è morta, travolta dallo tsunami del suo successo. Viviamo giorni nei quali si stima vengano scattate nel mondo più di tre miliardi di foto (fonte https://blog.infotrends.com); una valanga di immagini che comprime la distanza tra "visto" e "fotografato" e schiaccia fino ad annullarlo il senso della fotografia intesa in modo classico. Che ne è, allora, delle ragioni della produzione di immagini da contemplazione, prive cioè di connotazioni documentali o commerciali? Ha ancora senso perseguire un approccio esteticamente meditato e tecnicamente attrezzato per produrre risultati paragonabili a quelli raggiunti magari involontariamente solo per la forza della legge dei grandi numeri?

La risposta che mi sono dato è che la fotografia intenzionale trova proprio nella intenzionalità la ragione del suo essere; una intenzionalità più intensa di quella che muove il dito su uno smartphone e che si realizza in un messaggio più profondo e universale capace di scaturire dall'immagine catturata. E, oltre a ciò, credo che ancora oggi la fotografia possa ritrovare la sua specificità nella caratteristica che l'ha individuata fin dai suoi esordi: la selettività. Fotografare ha significato da sempre selezionare, decidere cosa includere e come includerlo nella cornice dello scatto. Le ragioni di questa decisione sono diverse da quelle che muovevano il fotografo di un secolo fa; ma resta l'azione di scegliere dal flusso del visibile ciò che appare degno di essere catturato e sottratto non solo allo scorrere del tempo ma anche al mare di immagini scattate sulla superficie delle cose, che rischiano di sommergerlo e togliergli ogni rilevanza. E, infine, perché ci sia una qualche possibilità che questo salvataggio avvenga, è necessario che l'immagine sia tecnicamente all'altezza della visione che pretende. Oltre che intenzionale l'arte è anche una sintesi di ispirazione e tecnica, di poiesis e teknè; ed è quindi in questi elementi, declinati nel contesto tecnologico ed estetico dell'oggi, che la fotografia trova la giustificazione alla sua aspirazione di farsi guardare.

Intenzionalità , selezione, ispirazione, tecnica. Il mio viaggio nella fotografia si disegna tra questi quattro punti cardinali.

Mostre

- Gennaio 2021 - Mostra Collettiva Internazionale Post-Industralism, Millepiani, Roma
- Febbraio-Marzo 2020, Mostra Personale Garbatella Addormentata, Teatro Garbatella, Roma
- Gennaio 2020 - Mostra Collettiva Internazionale Still Life | Alternative Exposures, Millepiani, Roma
- Ottobre 2019 - Mostra Collettiva Un Ponte per la Fotografia, Metro Garbatella, Roma
- Ottobre-Novembre 2018 - Mostra Collettiva New Perspective, Galleria Nazionale di Arte Moderna, Roma
- Luglio 2018 - Mostra Collettiva Arles Voies Off, Arles
- Maggio 2018 - Mostra Collettiva Il Mostro #10, TAG (Tevere Art Gallery), Roma

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Giovanni Cappiello
via Salaria, 212
00015 - Monterotondo (RM)

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